Base cellulare per una terapia dei sintomi
compulsivi
GIOVANNA
REZZONI
NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 11 maggio
2024.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Fin dal 2003, la nostra società scientifica ha
portato a conoscenza di psichiatri e ricercatori il lavoro di Mario Roberto
Capecchi, Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina nel 2007, sulle basi
neurobiologiche della compulsione a lavarsi, e ha seguito nel tempo la ricerca
che ha individuato mutazioni geniche in grado di creare comportamenti di self-grooming
ripetuto nei roditori. Vent’anni fa le resistenze ad accettare una base
molecolare e cellulare per il disturbo ossessivo-compulsivo umano (OCD,
da obsessive-compulsive disorder), sul
quale era stato versato il proverbiale fiume di inchiostro su una origine
psicologica, fin dall’interpretazione psicoanalitica del caso clinico dell’Uomo
dei Topi di Freud (1909)[1], e
passando poi per le ipotesi di scompenso psicoadattativo di personalità
ossessive. Quel fardello culturale rendeva difficile a molti psichiatri accettare
l’idea che un difetto molecolare potesse essere all’origine di una compulsione
a lavarsi, definita rupofobia, e che tale sintomo potesse non essere
espressione di un’alterazione della fisiologia psichica. D’altra parte, il
disturbo ossessivo-compulsivo si caratterizza per altri aspetti, che hanno un
ruolo preminente rispetto al lavarsi ripetuto, interpretato come una compulsione
compensativa.
Già da molto tempo le basi neurofunzionali, ossia la
fisiopatologia del disturbo, ha focalizzato l’attenzione su un altro aspetto:
il funzionamento di un sistema neuronico cortico-sottocorticale,
convenzionalmente denominato “circuito di errore”[2], che
sembra iper-funzionare ed essere poco sensibile al normale feedback che
ne spegne l’attivazione, continuando a segnalare un “errore” che indurrebbe la
reazione comportamentale definita compulsione.
D’altra parte, nella diagnostica clinica e nel
vissuto del paziente, l’elemento fondamentale rimane l’emergere incontrollato e
intrusivo di quel contenuto di pensiero detto ossessione, che disturba
la coscienza della persona affetta e si ritiene causi le risposte compensative.
Per questo, ancora molti psichiatri, pur riconoscendo la possibilità di un
ruolo rilevante per una base neurobiologica familiare del disturbo, non
considerano rilevante la ricerca che evidenzia la possibilità di un’origine genetica
della compulsione a lavarsi: il problema del disturbo ossessivo-compulsivo è
dato dall’emergere delle ossessioni. In quanto non sono pochi i pazienti OCD che
compiono rituali di pulizia di oggetti, della casa o altro per necessità ed
urgenza, ma non indulgono sistematicamente nel lavaggio ripetuto delle mani e
del viso, gli scettici circa l’importanza degli studi sulla genetica del self-grooming
dei roditori, continuano a ritenere che quel comportamento indotto da
alterazioni geniche rappresenti una suggestiva somiglianza comportamentale
con un sintomo umano, ma che in realtà non abbia alcun rapporto con l’eziopatogenesi
dell’OCD.
Questo punto di vista, assolutamente rispettabile, deve
però fare i conti con alcune argomentazioni che ne indeboliscono la base su cui
si fonda: non risultano casi di persone con una vera compulsione a lavarsi prive
di ossessioni e, più in generale, che non rientrino nei criteri diagnostici del
disturbo; le alterazioni funzionali dei roditori portatori di geni connessi al self-grooming
patologico ricordano quelle descritte, da Schwartz in poi, nel circuito cerebrale
disfunzionate dei pazienti; non sappiamo quali siano i processi neuropsichici
dei topi affetti da compulsione a lavarsi, e ragionevolmente non possiamo
escludere che costituiscano un equivalente comparato di quelli che nel cervello
umano prendono la forma delle ossessioni e degli altri sintomi.
Per queste ragioni, e anche perché sicuramente i vari
geni connessi col self-grooming rappresentano, in ogni caso, un rapporto
diretto tra genetica e comportamento, noi continuiamo a dare rilievo a questo
ambito della ricerca sulle basi neurobiologiche e qui presentiamo uno studio
che ha individuato una possibilità di agire terapeuticamente sul comportamento
patologico.
In proposito, desidero aggiungere un’osservazione
rilevante in termini di clinica psichiatrica: una parte di pazienti OCD dichiara
di essere stanca di dover ripetere tante volte gli atti del lavarsi e vorrebbe
essere alleggerita o liberata da quest’obbligo interiore tanto quanto dalle
ossessioni. Dunque, se questa ricerca è in grado di fornire strumenti per
affrontare e magari risolvere questo problema, rimane di assoluto interesse per
lo psichiatra.
(Mondragon-Gonzalez S. L. et al., Closed-loop recruitment of
striatal interneurons prevents compulsive-like grooming behavior. Nature Neuroscience – Epub ahead
of print doi: 10.1038/s41593-024-01633-3,
2024).
La provenienza
degli autori è la seguente: Institute du Cerveau – Paris Brain Institute – ICM, Sorbonne
Université, Inserm, CNRS, AP-HP Hôpital de la Pitié Salpêtrière, Paris (Francia).
La compulsione è stata associata, nella massima parte degli studi
sui correlati fisiopatologici della manifestazione comportamentale, a iperattività
nei sistemi neuronici del corpo striato umano (putamen, nucleo
caudato) equivalenti allo striato murino. In particolare, da tempo è stato
identificato un ruolo chiave svolto in questa sede della base encefalica da una
popolazione di interneuroni inibitori GABAergici: le cellule positive alla
parvalbumina (PVI, da parvalbumin positive striatal interneurons). Gli
interneuroni inibitori PVI hanno un’importanza cruciale nella regolazione dell’attività
dei neuroni eccitatori striatali in rapporto al complesso bilanciamento delle
interazioni di rete e, per ciò che concerne gli effetti comportamentali, nel sopprimere
prepotenti azioni inappropriate.
Sirenia Lizbeth Mondragon-Gonzalez, Christiane Schreiweis e Eric Burguière, per
indagare il ruolo potenziale dei neuroni PVI nella regolazione del
comportamento compulsivo, hanno valutato l’eccessivo self-grooming – convenzionalmente
adoperato come misura comportamentale delle condotte compulsive – in topi
maschi del genotipo Sapap3 knockout (Sapap3-KO), considerato il miglior
modello sperimentale del disturbo.
La sperimentazione ha posto a confronto i modelli
murini di compulsione con topi a genotipo naturale fungenti da controllo. È
stato condotto un esperimento mediante attivazione optogenetica continua
delle cellule PVI nelle aree striatali riceventi input
dalla corteccia orbitofrontale laterale (OFLC). Nei modelli murini di
compulsione Sapap3-KO l’attivazione optogenetica continua ha ridotto il
numero dei fenomeni di self-grooming a quello comunemente riscontrato
nei roditori a genotipo naturale.
In proposito, ricordiamo uno studio condotto in
Messico da Ramirez-Armenta e colleghi nel 2022: l’inibizione
optogenetica dei neuroni della via indiretta nello striato dorso-mediale
riduceva il self-grooming eccessivo nei topi Sapap3-KO[3].
L’esperimento clou del lavoro di Sirenia Lizbeth Mondragon-Gonzalez,
Christiane Schreiweis e Eric Burguière è stato
allestito al fine di accorciare la “finestra temporale critica” per il reclutamento
degli interneuroni GABAergici PVI dell’area striatale. A questo scopo i tre
ricercatori hanno erogato una stimolazione optogenetica real
time closed-loop, impiegando un temporaneo incremento
di potenza nella banda degli 1-4 Hz di frequenza nell’area corticale OFLC,
quale biomarker predittivo dell’esordio della condotta compulsiva.
La stimolazione optogenetica real
time closed-loop centrata sull’esordio della
condotta di grooming si è rivelata tanto efficace quanto la stimolazione
optogenetica continua nella riduzione del numero di atti compulsivi rilevati,
ma col vantaggio costituito dal richiedere un tempo di stimolazione inferiore
dell’87%, suggerendo così la via da percorrere per un protocollo terapeutico
di stimolazione adattativa.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanna
Rezzoni
BM&L-11 maggio 2024
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è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data
16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica
e culturale non-profit.
[1] Sigmund Freud, Osservazioni su
un caso clinico di nevrosi ossessiva – caso clinico dell’Uomo dei Topi,
pubblicato per la prima volta su Jahrbuch für psychoanalytische und psych. I, 2, pp. 357-421, 1909.
[2] È stato identificato da alcuni
con il worry circuit
descritto nei pazienti OCD per la prima volta da Jeffrey Schwartz della UCLA
già negli anni Ottanta. Schwartz identificò mediante PET una disfunzione in un
circuito che connette corteccia orbitofrontale, giro del cingolo
e gangli basali: questa disfunzione ritenne che fosse alla base del
disturbo.
[3] Ramirez-Armenta K. I. et al., Optogenetic inhibition of
indirect pathway neurons in the dorsomedial striatum reduces excessive grooming
in Sapap3-knockout mice. Neuropsychopharmacology 47, 477-487, 2022.